SOCIETÀ COMPLESSA
Come è facilmente intuibile, i mutamenti che coinvolgono, oggi, la vita cristiana non riguardano solo la sfera direttamente personale, ma anche quella sociale. Se l’esistenza improntata al riconoscimento di Cristo, nella fede, si svolgeva un tempo, nel contesto di una società che veniva unita dallo stesso cristianesimo, oggi le cose sono sensibilmente mutate.
Il disincanto del mondo, di cui si è detto, ha degli effetti anche a livello di società. I fattori secondo cui essa si forma sono, ormai, molteplici e differenziati. Ciò provoca la creazione di diversi sistemi, ognuno dei quali ha un suo determinato codice e si percepisce come autonomo rispetto a tutti gli altri. Così, per esemplificare, esiste il sistema economico: un determinato orizzonte in base al quale si unifica e si pensa la società, con un suo codice ben preciso, che è il denaro. Allo stesso modo, esistono il sistema politico, quello educativo, quello artistico, quello degli affetti, quello della scienza… Ciascuno di essi si costituisce autonomamente, ha un suo codice preciso e “funziona” secondo criteri, interessi e modi di leggere la realtà decisamente autonomi. Il che vuol dire, in concreto, che nessuno di questi sistemi ritiene di dover dipendere dall’influenza diretta di altri sistemi, anche se ciascun sistema sa molto bene di non poter rappresentare la realtà nella sua interezza; né accetterebbe di essere giudicato sulla base di criteri esterni ad esso.
Si potrebbe dire, in estrema sintesi, che la società da semplice, in quanto unificata attorno al fattore religioso, si è fatta complessa, in quanto si unifica secondo i diversi sistemi che la costituiscono. Tra di essi c’è anche quello religioso e, nella fattispecie, quello offerto dalla fede cristiana. Non viene abolito; può, anzi, essere invocato come “portatore di senso” per la vita in una società di questo genere. Solo, non sembra poter accampare la pretesa, come un tempo, di essere l’unico fattore attorno a cui si forma e si costruisce la società.
Per penetrare più profondamente tale cambiamento, può essere evocato un esempio storico, spesso ricordato nei dibattiti pubblici, quando si vuol mettere in evidenza gli errori che ha fatto la Chiesa nel passato. Si tratta del cosiddetto “caso Galileo”. Si sa come Galileo fosse un cristiano autentico del suo tempo. Un credente che conosceva anche la Bibbia; e che aveva dovuto confrontarsi, perciò, con quel passo dell’Antico Testamento in cui Giosuè invoca Dio, chiedendo che il sole si fermi durante la battaglia. È ovvio che un tale modo di esprimersi della Scrittura si basava sull’idea che era il sole a girare attorno alla terra. Galileo, sulla base dei suoi esperimenti, scopre invece che è, al contrario, la terra a ruotare attorno al sole. Scoppia, come si sa, una grande tensione, che porta Galileo ad affermare che la Bibbia non dice «come vadi il cielo, ma come si vadi al cielo».
Una tale vicenda è estremamente istruttiva per comprendere il mutamento che ha segnato la cultura e la società attuali; e, dunque, il modo in cui è ancora possibile, oggi, una vita cristiana. Perché questo conflitto, oltre a mostrare che la Bibbia non può venire interpretata “alla lettera”, senza considerare che essa contiene la Parola di Dio dentro parole umane, figlie della cultura e delle conoscenze del loro tempo, dice che la scienza ormai non dipende più immediatamente dalla fede. Cosa che, oggi, è divenuta normalità, anche per i cristiani. Un cristiano sa, infatti, molto bene – per rimanere a quest’unico esempio – che quanto è scientificamente vero non può essere provato in maniera diretta e immediata a partire dalla Scrittura o dai dogmi di fede, bensì dagli esperimenti e dalle ricerche autonome che si compiono. Cosa che, in modo analogo, vale anche per gli altri ambiti della vita sociale.
Ora, un tale mutamento non può non rappresentare una sfida seria alla vita cristiana, personale e comunitaria. Un cristianesimo abituato a costituire l’unico orizzonte attorno a cui costruire la società, deve oggi riuscire ad abitare un mondo in cui l’economia, la politica, la scienza, l’educazione, gli affetti si costruiscono autonomamente. La prima cosa che deve accettare è che non può più avere, come un tempo, un influsso immediato e diretto su tutte queste sfere.
D’altra parte, però, se è vero – come si è evidenziato – che la vita cristiana significa proclamare che Gesù Cristo è l’unico Signore e che non ve ne sono altri ed è un modo ben specifico di vivere e di interpretare l’esistenza umana, allora essa non potrà mai rinunciare a fermentare tutte le dimensioni della vita sociale. Una vita cristiana che non fosse più capace di dire, ad esempio, che l’economia è un attentato all’unica signoria di Cristo quando dà per scontato, su presunte basi scientifiche, che debbono esistere dei ricchi sempre più ricchi, mentre altri vengono sistematicamente affamati e umiliati, cesserebbe semplicemente di essere ciò che deve essere. Così come dei cristiani che non percepissero più che il profitto o la meritocrazia eretti a unico criterio in base al quale giudicare gli uomini e fondare la società sono disumani, sarebbero incapaci di far sentire la profezia evangelica in questo mondo: perché le persone sono molto più di quanto riescono a produrre o guadagnare; e perché esisteranno sempre persone incapaci di accampare alcun merito, che portano impressa in sé, nondimeno, l’immagine di Cristo.
Esempi come questi possono già suggerire come pure in questo tempo, anche se con modalità nuove, non solo non è impossibile una vita cristiana; ma non ha cessato affatto di essere stimolante e fruttuosa, quando continua ad essere creativamente fedele a quella Pasqua di Cristo che ne rappresenta il cuore.
Roberto Repole, La Vita Cristiana, San Paolo