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Approfondimenti

Il senso della vita cristiana oggi

IL MANDORLO FIORITO

Spunti per riflettere

DAL PUNTO DI VISTA DELL’INVISIBILE DIO

La vita cristiana è un determinato modo di vivere la vita umana e di abitare questo nostro mondo.
Troppo spesso i dibattiti pubblici, così carichi di fracasso e di violenza, possono dare l’impressione che la fede non debba interessarsi delle cose di questo mondo. Che essa separi, invece che unire agli altri uomini; che sia una realtà intima e incomunicabile, mentre la vita, con tutta la sua bellezza e con tutto il suo carico di problematiche e di incertezze sarebbe, invece, tutt’altra cosa.
Non si può negare che certi modi di porsi da parte dei cristiani stessi e di intervenire nelle problematiche che riguardano tutti – anche di quelli che cristiani non sono – possano incentivare un tale modo di vedere le cose. Così come non si può nascondere che una certa concezione della laicità, che vorrebbe ridurre la fede a fatto meramente privato, possa ingenerare un pensiero come questo. In realtà, però, una fede che non conducesse ad un preciso e concreto modo di vivere questa vita umana, che è la vita di tutti, e che non portasse ad un preciso e concreto stile con cui abitare questo mondo, che è il mondo di tutti, sarebbe una favola, un’idea astratta: al limite, un porto in cui rifugiarsi, per non affrontare la fatica del vivere.
La vita cristiana ha la pretesa di essere, invece, semplicemente una vita. Una vita che sviluppa, anzitutto, una determinata maniera di abitare il mondo. Si può dire che i cristiani abitano la terra, guardandola dal punto di vista dell’invisibile Padre di Gesù Cristo. Per questo, essi dovrebbero conservare sempre uno sguardo contemplativo sulla realtà. Uno sguardo capace di meravigliarsi per tutto quanto esiste e non è scontato: il mare, il sole, i fiumi, la fragranza di un fiore, la complessa armonia di una foglia, la fragile forza del corpo umano... Tutto dovrebbe essere guardato come realtà che desta meraviglia e che viene accolta come donata dal Dio che si è fatto incontrare in Gesù. Uno sguardo, in altri termini, che non riduce ciò che è, a cosa di cui si deve comprendere il funzionamento e a realtà manipolabile; ma che sa conservare lo stupore e l’incanto, mantenendosi tenacemente preoccupato di cercarne e conservarne il senso.
Si potrebbe obiettare che questo modo di guardare la realtà e il mondo non sia abbastanza oggettivo; che non sia sufficientemente “scientifico”, si direbbe oggi. Noi siamo, infatti, tutti ormai abituati a guardare il mondo dal punto di vista degli sguardi che ci offrono le scienze moderne. Ed è un grande vantaggio, non lo si può negare! Ci siamo, però, ingenuamente convinti che quello sia l’unico sguardo vero. Non ci ricordiamo perciò più – e talvolta non lo ricordano neppure gli uomini di scienza – che quello sguardo è sempre frutto di un’astrazione. Le scienze guardano, infatti, la realtà solo sulla base di quello che intendono vedere e ricercare. Ed è solo per una superficialità di riflessione che si dice che quello è lo sguardo vero e reale. Sarebbe meglio dire che è un modo di guardare le cose, che non elimina affatto né è in concorrenza con il modo di vederle alla luce del loro fondamento e del loro senso ultimo. E vedere la realtà nell’orizzonte del Dio di Gesù significa vederla secondo questa precisa luce.
Allo stesso modo, i cristiani guardano le vicende umane come fatti che hanno peso e consistenza. Per essi, la storia ha un’origine e un fine. Ha un senso, perché il mondo e l’umanità vengono dalle mani di Dio e a
Lui sono diretti. I cristiani sanno che c’è un mondo di sentimenti, di passioni, di amori, di sofferenze e di pensieri nel cuore di ogni uomo; e questo non è destinato al nulla, né proviene dal nulla. Conservando lo
sguardo del Padre di Gesù Cristo, i credenti in Lui dovrebbero saper circondare di interesse qualunque piccolo frammento di vicenda umana.
Non ci si può negare quella domanda che, alla luce di una tale prospettiva, sorge quasi spontanea. E il male? E la morte? E la sofferenza degli innocenti? Questo nostro mondo non è troppo carico di ingiustizie e di vittime per poter coltivare uno sguardo del genere? Anche quanti riconoscono, nella fede, Gesù Cristo, si pongono queste domande. Se non sono troppo superficiali, in essi queste questioni risuonano in modo ancora più acuto. Per questo, neppure dopo la resurrezione di Cristo, non è stato eliminato dalle Scritture un libro come quello di Giobbe. I cristiani lo leggono, per mantenere aperta quella domanda; ma al cospetto di Dio e nell’invocazione a Lui, del Dio che ha risuscitato Gesù dai morti e che risusciterà anche noi. Essi chiedono a Dio e attendono da Lui solo che il velo del mistero si squarci. Per questo, ha forse ragione un teologo come Metz, quando dice che i cristiani non hanno una risposta in più, ma portano una domanda in più. Essi possono ancora continuare a parlare del Dio della resurrezione, della salvezza e della redenzione dal male, proprio perché conservano acuta la domanda del male e della morte.
Non sembri cosa da niente, tutto ciò. Viviamo in un mondo dominato non solo dalla scienza, ma dalla tecnica. E la tecnica illude, troppo spesso, di poter risolvere tutto, di poter affrontare ogni sofferenza, di saper fare indietreggiare ogni dolore. Salvo lasciare, poi, senza voce e in una solitudine agghiacciante la sofferenza di chi patisce e di chi è sconfitto.
Non è poca cosa, allora, che i cristiani continuino a dare fiato e a prestare la parola perché queste domande siano poste, anche oggi. Proprio perché credenti. Proprio perché fiduciosi che il Dio di Gesù è Padre
buono, capace di asciugare le lacrime, lenire le sofferenze e risuscitare i morti.

Roberto Repole, La Vita Cristiana, San Paolo

 

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