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Il mandorlo fiorito. Spunti per riflettere. Nell’ora della morte

NELL’ORA DELLA MORTE
L’ora della morte è ora sacra: la penna si posa, le lancette si fermano, il mosaico trova l’ultimo pezzo, il pennello si arrende: è finita. Se la vita dell’uomo è opera d’arte, l’ora della morte è il momento della firma d’autore: questo è la mia vita. Solo Dio sa quanto mi è costata, solo Dio saprà coglierne le sfumature. È un’ora di perfezione, di giudizio (“al re piacerà la tua bellezza”, incoraggia un salmo). È l’ora dell’incontro, lo sposo attraverserà la mia notte, e prendendomi per mano mi condurrà nella festa nuziale. È l’ora della luce dopo tanto cercare, del riposo dopo tanta fatica… Ora sacra, la mia ora, dalla porta stretta chiamato per nome toccherà a me passare … ma non sarà un’ora di solitudine. In quell’opera d’arte ora completa c’è la traccia di chi mi è stato maestro, di chi mi ha conosciuto, accompagnato, amato .. Il mio abito nuziale ha cuciture di molte mani, nell’andare incontro sentirò la preghiera di chi ho vicino.
Non si muore da soli, come non si vive da soli: quando muore un amico muore lui, ma muoio anch’io, la morte tocca la nostra relazione, la possibilità di incontrarsi; anche a me è tolto qualcosa, anch’io sono ferito. II rito funebre, la celebrazione del funerale in chiesa, permette di celebrare tutto questo. Nel rito semplice e solenne insieme sono molti i convocati: chi accompagna la bara e piange il morto e insieme avverte la tristezza di aver perso qualcosa, qualcuno, chi già in paradiso accompagna Gesù nel raccogliere la bara, mani nelle quali consegniamo i nostri cari perché entrino nella vita.

Nella scena evangelica del funerale di Naim viene raccontato questo incontro tra due processioni, chi porta piangendo la bara da una parte e chi accompagna colui che solo può toccare la morte e sciogliere i suoi lacci dall’altra. Le nostre funzioni celebrano questa consegna, questo passaggio dalle nostre alle mani del Cristo, perché se il nostro amore non ha conservato la vita e le nostre mani si sono lasciate, la sua mano forte non permetterà di affondare, nulla ci strapperà dalla relazione con lui, niente potrà separare i nostri cari dal suo amore. Ecco perché non si muore soli e non si deve essere soli nel giorno del funerale.
Da qui vorrei trarre alcune riflessioni chiedendo a voi che frequentate la nostra comunità di seminare e diffondere una giusta visione del funerale cristiano in mezzo ai fedeli.
È importante che la nostra comunità parrocchiale sia presente ai funerali; non importa se non si conosce il defunto: c’è da accompagnare, c’è da consegnare, da pregare, da consolare, da ammirare la bellezza di una vita oramai completata, ferita, imperfetta, e comunque unica, irrepetibile, sacra. Il motivo per cui si mette il tappeto viola fuori della chiesa non è per soddisfare la curiosità di qualcuno, bensì per dire a tutta la comunità che è morto un fratello, è morta una sorella. È per chiamare tutti alla preghiera e alla partecipazione. Celebrare come comunità la morte di un fratello o di una sorella, anche se non lo conosciamo personalmente, ci ricorda che siamo tutti parte di un corpo che è la Chiesa e che la nostra morte è ricolmata della presenza di Cristo morto e risorto che non ci lascia nella tomba, ma ci conduce con Lui. Non c’è più solitudine nell’ora della morte: c’è Cristo e vorremmo esserci anche noi.

don Luciano

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